E femminile, aggiungo. Quindi non cambio affatto sport, niente paura, né mi metto a commentare il calcio (l’ultima cosa che farei). Domani, appunto, comincia il campionato nazionale di Serie A1 femminile di tennis, ed è un minitorneo che ogni anno quando posso seguo. Cioè vado a vedere gli incontri domenicali a Firenze, se per avventura schierano una squadra, o a Prato, che la schiera sempre trovando magicamente sponsor per assoldare buone giocatrici, e motivazioni. Sono un amatore (non fraintendete, dico un giornalista non professionista) e non ho tempo e modo di andare troppo lontano a vedere il tennis, e alla televisione, sarete magari d’accordo, è tutta un’altra cosa. Intendiamoci, come valore tecnico questo campionato non vale un fico secco, ma per i tifosi sazia una fame e colma un vuoto, il vuoto di veri tornei (soprattutto italiani, e vicini) che c’è nei tre mesi che vanno da ottobre agli Australian Open: tornei a vattelapesca ve ne sono e con montepremi anche da capogiro, ma a me interessano meno; la mia passione si risveglia di colpo furiosa solo con i primi tornei europei di febbraio, e confesso che anche gli Australian non mi riscaldano più di tanto. Quindi mi fa gola poter vedere all’opera, e da vicino, alcune mercenarie di lusso che giocano per queste sei squadre, come in piccole armate. Se è vero – ma non è vero, sarebbe troppo bello che tutte scendessero veramente in campo – si potranno vedere dal vivo Sara Errani, la Vinci, la Camerin, la Arn, la Burnett, la Knapp, la Oprandi. Anni fa Prato ingaggiò Zvonareva, ma era un bluff pubblicitario, e la russa non si fece mai vedere.
Ora però voglio soprattutto partorire un topolino: Prato annuncia in formazione Martina Trevisan, e siccome ho confessato e sbandierato in queste colonne il mio rammarico per il suo presunto ritiro, siccome mi sono domandato le ragioni dell’atto sconsiderato, siccome ho fatto delle ipotesi, siccome ho recitato il suo peana, siccome l’ho esortata a farsi viva, e l’ho scongiurata di ritornare all’attività agonistica, beh, mi illudo di aver avuto un piccolissimo merito nel vederla rischierata in squadra. Un miracolo! Dunque Martina giocava, ha giocato, si è allenata in questi due anni, altro che definitivo abbandono; e non si può naturalmente mettere in squadra, e sia pure tenere in panchina, una giocatrice inattiva da due anni, tanto per il gusto e il lusso di farlo. Sono qui ancora a cercare una ricostruzione logica dei fatti: è un piccolo giallo biennale, un puzzle che vorrei davvero chiarire con l’interessata. A suo tempo anche Roberto Commentucci, che sa tutto, da me interpellato su di lei mi disse di non sapere niente. Che sia questa per lei la ripresa ufficiale dell’attività tennistica in pianta stabile? Ce lo auguriamo!
Dunque allora non dubitate. Domani domenica 14, mannaggia, Prato riposa, ma il 21 gioca in casa. Io sarò lì a Prato sin dalle 9.30 del mattino, state sicuri. Sì perché a quell’ora inizia il riscaldamento, che a me piace quasi come la partita vera. Martina non giocherà certo da titolare, ma farà da sparring partner alla Dentoni o alla Camerin, nel campo in fondo a destra. Ne sono sicuro. È lì che vorrò controllare ansioso se avrà sempre e ancora quella sua tipica apertura alare di diritto, spesso criticata, epperò quel magico tempo e quel magico impatto piatto sulla palla. Mi riconoscerete ai bordi del campo, avrò le consuete scarpe da tennis ai piedi, jeans sdruciti, giubbotto di pelle nera e un cappellino Adidas bianco cui sono affezionato, tipo quelli di Panariello, da cui sbuca una folta chioma bionda.
Una postilla: in passato ho intervistato, quando scrivevo per un sito, varie giocatrici. Sapete chi sono le più simpatiche? La Gabba e la Dentoni: non mi volevano più mollare, non finivano mai di parlare. Le più antipatiche: beh, mi spiace, Camerin e Vinci. Ai Ferrovieri una volta le pedinavo importuno con il taccuino in mano, e loro: “Sì, la facciamo dopo”. Quel dopo non venne mai, avevano sempre una scusa pronta, sinché mi scocciai e venni via.